AZIENDE ACCOGLIENTI E AZIENDE RESPINGENTI

 

La valorizzazione del “capitale umano” è una delle sfide più complesse che le aziende si trovano ad affrontare nel loro processo di crescita e sviluppo.
Una delle conseguenze meno evidenti, ma molto rilevanti, della rivoluzione digitale in corso è la perdita di centralità nelle strategie aziendali dell’enorme importanza che ancora rivestono le risorse umane, a vantaggio di altre componenti considerate più importanti: tecnologia, marketing e soprattutto finanza.
E’ indubitabile che questi fattori, a altri ancora, siano assolutamente fondamentali per lo sviluppo di
ogni azienda, piccola o grande che sia. Ma ciò non dovrebbe attenuare l’attenzione verso le persone
che ne fanno parte e, forse in misura addirittura maggiore, verso i nuovi collaboratori. Essi, loro
malgrado, entrano spesso in contesti poco conosciuti, e talvolta estremamente complicati, senza
essere adeguante accolti, seguiti ed aiutati nelle fasi di inserimento.
Ed in questo ambito le aziende si dividono in due categorie: le aziende accoglienti e le aziende
respingenti.
Le prime sono totalmente predisposte ad inserire in maniera efficace le nuove risorse, attuando prassi iniziali tese a mettere a proprio agio il nuovo collaboratore che, nel giro di pochi giorni, comprende con chiarezza quali siano i suoi compiti, a chi deve riferire e quale sia la reale mission aziendale. Si tratta di ambienti che puntano sul coinvolgimento, sull’aggregazione armonica delle persone, poiché ritengono che ciò crei un migliore clima aziendale ed un conseguente incremento delle prestazioni. La logica è semplice: se il collaboratore si sente accolto e coinvolto produce di più. Forse banale, ma molto efficace.
Le seconde, al contrario e spesso inconsapevolmente, ritengono i nuovi inserimenti come una sorta di “male necessario” e ne valutano solo gli aspetti di maggior costo e di turbamento delle consuete dinamiche operative. Quasi un disturbo. In queste aziende non vi è quasi mai una chiara procedura
di on-boarding. Viene tutto lasciato al caso, dall’assenza di una postazione di lavoro, ad una poco
definita job description sino ad un’opaca attribuzione di compiti e mansioni. In questi casi il nuovo
inserito non si sente accolto nei dovuti modi, anzi percepisce quasi un senso di fastidio generato dall’ambiente circostante.
E’ evidente che, sia un caso che nell’altro, meriti e responsabilità sono da attribuire ad imprenditori
e manager, ovvero a coloro che guidano l’impresa, ai quali è inequivocabilmente affidato il compito di creare e gestire ambienti e team di lavoro.
Quello che si dimentica, o non si tiene nella giusta considerazione, è che ogni innovazione o obiettivo da perseguire, non può che passare dalle risorse umane: sono lo strumento attraverso cui valorizzare tutti gli altri asset presenti in azienda.
E questo dovrebbe essere l’obiettivo primario di ogni organizzazione.
Anzi, un’azienda può inseguire un percorso di eccellenza esclusivamente se le risorse al suo interno sono eccellenti a loro volta, quindi valorizzare il capitale umano deve essere un obiettivo cruciale
qualunque società che si prefigga di innalzare la qualità dei servizi o dei prodotti offerti.
Per molti imprenditori o manager con responsabilità di guida frasi del tipo “le persone fanno la
differenza” si sprecano.
Ma è un’autentica “sagra dell’ipocrisia”!
Ma come si può pensare che “le persone facciano la differenza” se non si pensa a loro?
Se non si lavora per la loro valorizzazione?
Se non si condivide e non si stimola la loro crescita professionale e, prima ancora, personale? Se non si considera il “capitale umano” al pari del “capitale finanziario”?
Ovviamente esistono anche esempi virtuosi di società che, al contrario, danno estrema importanza alle persone a non lesinano tempo e risorse, ed è estremamente evidente quanto tutto questo porti un inevitabile miglioramento del clima aziendale e delle performance, a tutti i livelli.

A cura di Bruno Vettore